Il regista Villeneuve ci esorta a riflettere invitandoci al banchetto del consumismo umano.
Next Floor è un allegorico cortometraggio presentato al Festival di Cannes del 2008 e premiato al Capalbio International Short Film Festival 2009. Il film diretto dal regista canadese si distingue per la linearità e l’intensità del messaggio che si sintetizza palesemente in un attacco al consumismo estremo. Villeneuve, conosciuto al grande pubblico per Arrival del 2016 e Blade Runner 2049 del 2017, comunica, senza mezzi termini, come la specie umana stia avidamente consumando le risorse del pianeta.
Questo cortometraggio potrebbe essere precursore di film più recenti, come Snowpiecer (2014) del regista John-ho Bong, o Il Buco (2014) di Galder Gaztelu-Urrutia, in quanto, in tutte queste opere, la tematica centrale è quella della disparità delle classi sociali e sulla distribuzione delle risorse.
Il concetto di consumismo feroce è già stato raccontato in passato da grandi autori, quali Bunuel e Latimos, ma la visione di Villeneuve non si discosta nemmeno dall’orrore gastronomico che Peter Greenway usa nel cannibale epilogo del suo film del 1989: Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante.
Nella pellicola di Greenway, come in quella di Villeneuve, il messaggio è tanto politico quanto aristocratico e punta il dito sulle perversioni di un universo ricco e privo di orientamento sociale. Per Greenway, il “ladro” è la metafora della civiltà dei consumi, che ingurgita tutto con la stessa semplicità affaristica con cui l’occidente ha fondato la propria economia. Villeneuve sviluppa la stessa metafora nel verticalismo scenografico di un banchetto e nei suoi commensali.
La trama di Next Floor ruota attorno ad una grande tavola da pranzo, dove un gruppo di individui, vestiti in lussuosi abiti, divora ferocemente qualsiasi tipo di carne e pietanza. Morso dopo morso, il pavimento sotto di loro cede, facendo precipitare tavolo e commensali al piano inferiore, dove tutti ricominciano non curanti a mangiare da capo. Continua così la battaglia che nessuno di loro, nemmeno l’unica donna del gruppo, la sola a tentennare, potrà mai vincere.
Un cortometraggio senza dialoghi, ad eccetto della parola “Next Floor” pronunciata come una sentenza dal maitre ad ogni cedimento del suolo. Tutta l’azione scenica è impostata con l’impeccabile chiaroscuro di Nicolas Bolduc, giovane direttore della fotografia canadese che ci regala un’atmosfera di sospensione, come se il luogo dell’ingordigia fosse un tetro inferno sospeso in una dimensione di inesistenza. Le interpretazioni sono perfette, a partire da un Jean Marchand, che con le sue nette movenze e con i suoi sguardi fissi in camera riesce a metterci a disagio.
Una sinfonia intelligente e grottesca nella quale è racchiuso un penetrante discorso sul consumismo e in cui le metafore e i simbolismi trovano il loro riassunto in una carnalità vorace e volgare, per sfociare in un epilogo perfetto. Una vertiginosa discesa verso i peggiori gironi danteschi, una caduta libera che in un certo modo, riesce a farci sentire tutti colpevoli.
Articolo di Matteo Di Maria