“Le persone che hanno perso qualcuno da poco hanno sul viso una certa espressione, forse riconoscibile solo da coloro che hanno visto quell’espressione sul proprio.”
L’anno del pensiero magico di Joan Didion
A Parigi un uomo e una donna s’ incontrano per caso. Sconosciuti l’uno all’altra imparano a ‘volersi bene’ da subito, parlando di sé e di tutto il resto all’infinito. Antoinette Boulat esordisce così con Ma Nuit, il suo primo lungometraggio da regista, dando vita ad un incontro che è la chiave per procedere verso la spensieratezza che vuole raccontare. La pellicola viene presentata al Festival del Cinema di Venezia 2021, nella sezione Orizzonti Extra.
Marion ha diciotto anni. Da quando è morta sua sorella, la ragazza è piena di dolore, ma ha raggiunto un’età in cui sente un profondo bisogno di libertà. Il giorno dell’anniversario della morte della sorella, inizia un viaggio per le strade di Parigi. Ne segue una notte di incontri con dei volti familiari, in una città in cui i giovani non riescono più a stabilire un legame, finchè Marion non s’imbatte nell’impulsivo Alex. Uno spirito libero. Grazie all’incontro di due solitudini, il loro percorso si trasformerà nel ritmo che scandisce il vagare nella città, come un viaggio nella notte.
Ma nuit descrive un mondo giovanile vuoto e difficile da riempire, come ‘l’eternità’ di cui parlano i ragazzi nella scena dopo la festa notturna. Questa scena descrive l’apice della perdizione di una generazione che si trascina avanti senza direzione e preannuncia il momento di crisi della nostra protagonista. Nella pellicola viene principalmente affrontato il tema dell’elaborazione del lutto e del dolore che da esso deriva trasformando, e distorcendo, la nostra visione del mondo. Un racconto quasi mitologico dove la protagonista Marion attraversa la città da sola ma ne esce indenne, con l’aiuto del suo eroe in grado di proteggerla e capace di superare e di farle superare ogni difficoltà. Durante il vagheggiare per le strade di Parigi entrambi i giovani sono chiamati a vivere un’esperienza conoscitiva che li condurrà, al termine della storia, all’acquisizione di una nuova consapevolezza.
Con l’inizio della visione si capisce che la Boulat voglia entrare dentro ai suoi personaggi fino a capirne l’essenza più profonda. L’occhio della mdp osserva animato dalla volontà di vedere le cose non semplicemente per come esse appaiono, ma per oltrepassare l’immediata esteriorità, per sperimentare prospettive e punti d’osservazione nuovi. La Boulat, sceglie di raccontare il viaggio interiore di Marion racchiudendo la visuale dello spettatore in un ‘rapporto di immagine 4:3’ che strizza l’occhio alla Nouvelle Vague e ai tanti autori del cinema d’oro e disincantato con cui la regista ha collaborato in passato. Scena dopo scena però si fa d’oro anche la pellicola della Boulat e si ha come l’impressione che lo schermo si allarghi e le paure della vulnerabile protagonista lascino spazio alla consapevolezza di dover lottare per la vita. Alla fine ci ritroviamo tutti a tendere le braccia verso il cielo assieme a Marion, per afferrare il senso del tempo, della nostra non eternità e godere della libertà.
Antoinette Boulat ha incominciato la sua carriera come direttrice del casting per il film Ponette di Jacques Doillon nel 1996, pellicola che già allora affrontava con intelligenza rara il tema dell’elaborazione del lutto. Da allora ha lavorato ha lavorato, sempre in veste di direttrice del casting, in più di centoventi film, e con alcuni tra i registi più acclamati, come Olivier Assayas, Leos Carax, Wes Anderson, Sofia Coppola, Francois Ozon e Lars Von Trier solo per citarne alcuni.
Estratto dell’intervento della regista dopo la proiezione del film al pala Biennale in occasione della Mostra del Cinema di Venezia 2021:
All’inizio del film viene citata Joan Didion “Le persone che hanno perso qualcuno da poco hanno sul viso una certa espressione, forse riconoscibile solo da coloro che hanno visto quell’espressione sul proprio.”
E’ una frase molto profonda che si addice alla protagonista del mio film. Marion vive con il lutto negli occhi e un lutto cambia lo sguardo, rendendolo talvolta anche più netto seppur più distante.
Marion vive nella paura. La paura si può superare assieme a qualcuno?
Nel film Marion rappresenta la perdita della spensieratezza. L’incontro con Axel è la chiave per procedere verso una riscoperta della spensieratezza che volevo raccontare.
Con quali criteri hai scelto la Parigi che ci hai raccontato?
Volevo mostrare tutte le Parigi che esistono, poi però ci siamo focalizzati su Parigi est, la più multirazziale, che aveva luci più adatte. Si vede però anche la Parigi più conosciuta perchè io amo Parigi che è la mia città.
Articolo di Matteo Di Maria